QUESTA PICCOLA PAZZA COSA CHIAMATA AMORE: LA RECENSIONE DI “BIG LOVE” (“GRANDE AM0RE”) DI CHARLES MEE

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La guerra tra i sessi – completo di danza, musica, violenza e spargimento di sangue (!) –  è l’oggetto di “Big Love” (“Gande Amore”), che il veterano drammaturgo Charles Mee ha adattato dalle opere di Eschilo, ed è attualmente in scena (fino al 15 marzo) al Signature Theatre.

All’inizio della storia, tre sorelle – Lydia, Olympia e Thyona – arrivano su una pittoresca isola al

largo della costa italiana, in cerca di rifugio nella villa di proprietà del ricco Piero e della sua famiglia. Sempre vestite nei loro sudici abiti da sposa, sono in fuga da un matrimonio combinato nella loro casa in Grecia, e dai giovani che hanno lasciato all’altare. Non sono, come risulta, nemmeno particolarmente legate agli uomini: una è virulentemente anti-uomini, un’ altra sta dalla parte della superiorità femminile quasi come può, e la terza (almeno col passare del tempo ) rientra nel mezzo. Presto gli sposi stessi appaiono in scena (paracadute da un elicottero, niente meno), viene introdotto il punto di vista degli uomini, i ragazzi chiedono che le sorelle li sposino dopo tutto, e ciò culmina in uno dei più selvaggi matrimoni che si sia mai probabilmente visto.

Stacey Sargeant come la più arrabbiata e più stridente delle sorelle, Thyona,  le da tutto e canta da sogno, ma avrebbe potuto usare maggiore dimensione; tutto il suo fare politica femminista e quell’ostruzionismo “no-prigionieri” comincia a infastidire dopo un po’. Fortunatamente, Rebecca Naomi Jones e Libby Winters come sue sorelle, Lydia e Olympia rispettivamente, sono altrettanto hardcore, ma non così stridule (particolarmente la Jones, la cui Lydia, cotta del suo uomo più di quanto lei ammetta, è la prima a rompere le righe e ad innamorarsi).

Come previsto, Nikos, Bobby Steggert si distingue per il suo calore e la vulnerabilità e, in una ultima analisi, per la sua volontà di impegnarsi in un cambiamento improvviso di rotta.Il Set di Brett J. Banakis è semplice e quasi senza mobili, con una luminosità e ariosità che si addicono ad un’isola paradisiaca, un piacevole oceano sullo sfondo, un baldacchino di centinaia di fiori colorati fissati sopra il pubblico, e l’immagine occasionale, proiettata sulla muro, di un gabbiano baciato dal sole in volo.

Come l’amore stesso, “Big Love” potrebbe non essere perfetto, ma al suo meglio – sotto la libera direzione della collaboratrice di Mee,  Tina Landau – è divertente, stravagante, e persino, a volte, oltraggioso.

Andate a vederlo!

TEMPO BEN TRASCORSO: UNA BREVE RECENSIONE DI “A MONTH IN THE COUNTRY” (“Un mese in campagna”)

Il più bello spettacolo che ho visto di recente – ma che purtroppo è già finito- era un revival della commedia di Turgenev, “A Moth in the Coutry” (“Un mese in campagna”) del Classic Stage Company. Come la solitaria, lasciva Natalya – moglie del rimbambito di buone intenzioni che possedeva la proprietà su cui si imposta l’azione – Taylor Schilling (“Orange is the new black”) portava una sfumatura alla sua  prestazione squisitamente dettagliata; Peter Dinklage (“Il Trono di Spade”) come amico del marito Mikhail – che desiderava Natalya – aveva una presenza imponente, una voce potente, e una dolorante, quasi palpabile vulnerabilità; come il più recente oggetto degli affetti di Natalya, il vigoroso giovane Aleksey, tutor di suo figlio, Mike Faist, era superbo; e Megan West come tutore di Natalya, Vera – che aveva progetti su Aleksey – è stato alternativamente attraente e feroce, irrimediabilmente confusa un primo momento e calma e chiara il successivo. Thomas Jay Ryan e Peter Appel spiccavano tra il resto del cast, come il cinico medico del paese con le sue idee matrimoniali e il suo innocente amico, stupendamente timido proprietario terriero. Erica Schmidt l’ha diretto; lo scenografo Mark Wendland ha fatto un uso notevole della piccola area di scena del CSC; Tom Broecker e Jeff Croiter hanno disegnato i costumi e le luci, rispettivamente. In due vivaci ore (se) questo è stato un mese nel paese,  era tempo ben speso, sicuramente.

Recensioni Teatrali di Stuart R. Brynien

Traduzioni di Lorenzo Lars Vallot